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THE BOURNE ULTIMATUM – IL RITORNO DELLO SCIACALLO
(THE BOURNE ULTIMATUM )
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 novembre 2007
 
di Paul Greengrass, con Matt Damon, David Strathairn, Julia Stiles, Scott Glenn, Joan Allen, Albert Finney (Stati Uniti, 2007)
 
Al terzo colpo della saga tratta da Robert Ludlum sull'agente smemorato Bourne che la solito infame CIA ha addestrato ad uccidere contro il proprio volere, Paul Greengrass (senza dimenticare Tony Gilroy, sceneggiatore in spolvero di MICHAEL CLAYTON) sfornano l'en plein. Incastrandosi con inedita abilità drammaturgica (e sottigliezza: considerati i procedimenti solitamente spicci del film d'azione) nell'episodio precedente (THE BOURNE SUPREMACY,1994) THE BOURNE ULTIMATUM finisce per significare l'intera serie, oltre che costituirne il momento migliore. Già sento gli amici obbiettare che la progressione è quella risaputa del genere buon superman solitario inseguito dalla muta congiunta dei perversi alleati del potere economico-politico-tecnologico. Ma a contare, come sempre, è la qualità di quegli schemi.

Paul Greengrass è inglese. E forse non a caso THE BOURNE ULTIMATUM sembra ricentrare non solo geograficamente sull'Europa il proprio itinerario. Non solo perché, oltre all'inevitabile Manhattan il film vive i suoi momenti più stimolanti a Londra (splendide, in particolare, le sequenze immerse nella folla di Waterloo Station) o nelle atmosfere genuine di Torino, Madrid o Parigi. Ma per lo spirito non banalmente funzionale che alimenta un film pur destinato ad ottenere il massimo di funzionalità adrenalinica: primo fra tutti, la rinuncia all'estetica sempre più scontata affidata agli effetti digitali. Primo fra tutti, il ricorso ad una riflessione grafica a tratti sapiente. Certo, il gioco micidiale sulla scacchiera mortale tra Bourne, fragilizzato nella propria supremazia fisica e tecnica dai dubbi (rimorsi?) che nascono dall'ignoranza sulla propria identità; e lo strapotere numerico e tecnologico (dai marchingegni elettronici più sofisticati all'uso vieppiù astuto dei nostri telefonini) di chi lo aveva programmato a suo tempo, diretto dalla personalità sempre graffiante del David Strathairn di GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK. Ma la strategia (a volte scontata, per momenti affascinante) della partita scacchi è tradotta dalla regia in una stilizzazione, un processo di astrazione formale che la rilancia e la decuplica in energia e significati. Un dedalo composto da tutta una serie di spazi ristretti (passaggi obbligati tra la folla, nel mirino dei cecchini, nelle gallerie, quartieri urbani, appartamenti, corridoi, vicoli ciechi) nei quali sono costretti le vittime; ma all'interno dei quali (proprio come nell'intimo delle buone coscienze…) sembrano poi faticare a farsi strada anche le armi più sofisticate a disposizione dei perversi. Gioco di tensioni che si fa quasi astratto: tutto compreso nel contenitore più ampio delle molteplici architetture geografiche, riprese dall'alto prima di penetrarvi, da quelle organizzate dalla stella delle avenue attorno all'Arco di Trionfo al mitico labirinto che forma la casbah di Tangeri. Gioco che si fa non solo spettacolare: ma riflessione, anche politica, sui rapporti fra l'eterno Grande Fratello e l'individuo di anche sola relativa buona volontà.


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